venerdì 30 marzo 2012

Enter in first light of the morning echoes the song in my heart

In cui volevo scrivere di musica ma poi mi sono accorto che non ne avevo così voglia. E così ho scritto una specie di lettera a più persone contemporaneamente.

Lo scorso weekend Verona è sembrata una città vera. Non scherzo: c’erano feste danzanti per l’arrivo della primavera, concerti da panico a Interzona, aperitivi a go-go, sudamericani che cantavano a caso nei campi, inaugurazioni di gallerie d’arte, cene a base di farro e asparagi. Di tutto e di più, insomma.
Ho già provato a raccontare uno per uno i singoli eventi, ma mi sono in fretta reso conto che la scrittura diventava progressivamente una cronaca noiosa di molti concerti decisamente molto più belli di quanto non riuscissi a farli sembrare con le mie parole. E poi c’è l’effetto primavera. Come cos’è l’effetto primavera?
Non ti succede mai in questo periodo dell’anno di avere dei deficit dell’attenzione spaventosi? Di mescolare in modo delirante esperienze passate e presenti, deprimenti ed esaltanti? Non ti ritrovi a faticare nell’intento di separare quello che ti succede dal significato che gli attribuisci?
Ah, non ti succede mai. Beh, a me sì.

Quella serata senza senso tra le strade di Veronetta e le poltrone da barbiere del Malacarne, in compagnia di Charlie Chaplin e Charlie Brown. Poi sedersi alticci al Castello, semplicemente per la voglia di guardare la città nel pieno della notte. Non ti sembrava tutto così familiare, così nuovo?

Abbiamo camminato per Borgo Roma col cappuccio sulla testa, fissandoci i piedi. Gli Esperanza che iniziano a suonare e ci sembrano così superati, ma non desistiamo e loro ci mostrano come sanno giocare coi generi musicali più disparati, con suoni che sembrano arrivare da ogni parte del mondo, ma che riescono comunque a fare amicizia tra loro, e a fare amicizia con noi. Poi suona The Field e te ne vai con i tuoi amici, e io resto lì e mi lascio cullare dai ritmi ripetitivi e dai suoni ovattati, mi sento bene e sorrido notando che non ci sono molte persone sobrie attorno a me.

“Oddio, mi sembra di essere a Berlino!”, mi dici entusiasta. So che stai esagerando, ma c’è un ragazzo che fissa immobile The Field mentre attorno a lui la gente balla, e tutto è davvero perfetto.
Ancora mezzo intontito esco da Interzona e con la mia bicicletta verde menta mi dirigo verso casa, annusando gli odori primaverili che si sono infiltrati tra le tonnellate di cemento e ferro dei Magazzini Generali.

Non sembrano nemmeno gli stessi, gli odori primaverili che annuso mentre andiamo a lezione di yoga. Siamo stanchi entrambi eppure troviamo le forze per parlare, o almeno per lamentarci della scelta infelice del corso del sabato mattina. “No, davvero, io dal mese prossimo passo al martedì sera”. Ma credo che in realtà ti piaccia tutto così com’è, perché sono sei mesi che lo ripeti, ogni volta. E quel silenzio portentoso? Non te l’ho mai chiesto, ma tu l’hai mai sentito un silenzio così profondo?

Sei arrivata con mezz’ora di ritardo, incolpando Giogi. Poi andiamo a prendere anche lui, che ovviamente è in ritardo. E a sua volta incolpa te.
“Questo posto è dannatamente bello, non l’avevo mai visto di giorno!”. Ti spingiamo letteralmente fino alla Casetta Lou Fai, tu saresti rimasta tutto il giorno a guardare le viti e le colline, ascoltando la musica arrivare flebile da lontano.
Mentre saluto, sinceramente felice, gente che non vedevo da molto tempo (alcune persone della mia vita esistono solo alla Casetta, non mi spiego il perché), mi accorgo che tutti e tre ci sentiamo un po’ pesci fuor d’acqua. L’organizzazione è impeccabile, la gente è tantissima, la musica è ottima. Eppure ci sembra un posto diverso, mentre ci sediamo in un angolo, sorseggiando birra. Qui ci abbiamo passato delle serate stupende, al liceo. Ci ho pure festeggiato il mio diciottesimo compleanno. Era una specie di grande famiglia un po’ sgangherata ma molto, molto accogliente. Ora è così… diverso.

Ti costringiamo a restare ancora un po’ con noi. Non ci metti molto a cedere e questo mi lascia sperare che un po’ di voglia di restare in fondo ce l’avessi. Non è stupendo come un bicchierino di rosso e un panino col salame possano rendere le cose interessanti? Poi te ne vai via e facciamo un secondo aperitivo, più che altro una merenda a ora di cena: tè chimicissimo e gocciole chimicissime. Poi ci ricordiamo dell’esistenza della cena e deviamo verso casa mia. È da mesi (o anni?) che Milvia e mio fratello non si vedono, e ora si raccontano un po’ di tutto: sto pensando che tempo fa avessero molte più cose in comune, che poi però le cose succedono e sono imprevedibili. [Dopo un paio di ore assieme mi sarei trovato a pensare che forse hanno ora più cose in comune di quante ne abbiano mai avute.]
“Ma dai, c’è Guida Galattica per Autostoppisti in tivù”. Ma poi, pensandoci bene, non è ‘sto granché.

Stasera a Interzona c’è un sacco di gente che conosco. La cosa mi fa ben sperare, di solito tutta la gente a cui segnalo concerti risponde con “Dai, figata!”, ma poi non viene mai nessuno. Stasera sembra diverso e anche tu sembri pensarla come me, no?
Sono ancora un po’ sbronzo dal pomeriggio, ma propongo lo stesso un Montenegro, poi un gin tonic: per gustare appieno gli Akron/Family, nella mia esperienza, non si può essere del tutto sobri/lucidi. Ci sono proprio tutti, anche la coppia sposata che più adoro sulla faccia della terra. Olli, come suo solito, mi aggiorna velocemente su tutti i suoi progetti musicali (tra parentesi: Spagetti Bolonnaise è sicuramente quello che più mi interessa). Poche persone riescono a farmi sentire stimato come fanno Olli e Angela, e credo che sia una delle cose che più mi piacciono di loro. Ci promettiamo di fare una cena o qualcosa di simile, “uno di questi giorni”. Spesso poi non facciamo niente, ma quando lo facciamo sono sempre serate che ricordo volentieri.

Gli Akron/Family iniziano a suonare, assieme a Kid Millions (Oneida). Sono uno dei miei gruppi preferiti e mi rendo conto di essere del tutto impreparato, psicologicamente. È inutile che stia qui a raccontarvi come è stato il concerto, deluderei sicuramente le mie aspettative. C’è tanta improvvisazione (come in ogni loro concerto, d’altronde) e questo scoccia profondamente alcuni ragazzi che si trovano nelle mie vicinanze. Però in questo momento non mi frega un cazzo della loro opinione, così mi allontano progressivamente e raggiungo il mio amico Piccoli. Lui mi nota e mi saluta con uno sguardo e una pacca sulla spalla. Spero che abbia capito quanto gli abbia voluto bene per non aver iniziato a parlare. Il concerto dura tantissimo, io sono davvero molto, molto coinvolto e l’effetto primavera mi colpisce come non mai. Non credo riuscirei a ricordare nemmeno la scaletta, mi rimangono solo scolpiti in testa il finale dolcissimo di “So it goes” e le profonde vibrazioni di “Another Sky”, mentre ho gli occhi chiusi.
Però mi ricordo perfettamente che Miles e Seth sono bellissimi, questo posso confermarlo.
“Michi, credo di essermi innamorata”. “Anche io”.

Camminiamo in mezzo a quel quadrato verde nel bel mezzo del nulla. Annuso ancora l’aria, mi guardo i piedi. Sono le cose che ho fatto di più in questi giorni così belli. Della gente suona la chitarra in mezzo al prato, cantano, sembrano davvero tutti molto felici. Noi siamo seduti su una panchina e ci godiamo il sole (o almeno, io ci sto provando), cerchiamo di capire se veramente la lingua in cui stanno cantando e spagnolo.
“Sai, a volte penso che preferisco vivere così, vedendo tutto complicato, in balia dei miei entusiasmi e delle mie angosce”. Il vero problema è che non mi ricordo se questa frase l’hai detta tu, o se l’ho detta io. Effettivamente, non mi ricordo nemmeno se qualcuno si sia preso la briga di dirla. L’effetto primavera.

[Oggi abbiamo passato tanto tempo assieme. Questa piccola città mi è sembrata un po’ meno piccola: c’era caldo, la gente sedeva sui gradini, sotto il porticato, bevendo alcolici. Il sole stava tramontando e mi sembrava di essere entrato in una di quelle tue foto di tramonti, in cui c’è sempre un fondo di malinconia, ma anche tante, tante cose. Quando te ne sarai andata, per un po’ tutto sembrerà tremendamente strano.]

                                                                                                             listening: Another Sky – Akron/Family; Shoes – Akron/Family

2 commenti:

  1. alla fine stavo per mettermi a piangere.

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  2. Il post di anita riguardante il medesimo weekend: http://verdeanita.eu/2012/04/muoversi-tantissimo-stando-nello-stesso-posto/

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