domenica 29 aprile 2012

Nothing makes me want to disappear as when someone opens their mouth


In cui finalmente riesco a scrivere qualcosa che non mi faccia sembrare tremendamente malinconico. Credo.

Ho un'amica che abita a Berlino. O meglio, ne ho più d'una, ma questa in particolare si chiama Giulia. Giulia studia antropologia ed ha l'aria della saccente, ma la cosa le si addice perché effettivamente sa un sacco di cose ed è una delle persone più brave ad argomentare che io conosca (e, quanto non è in grado di farlo, può sempre fare affidamento su una certa dose di sagacia). Giulia è anche quella che si definisce una ethnonazi, quindi spesso mi capita di parlare con lei dell'importanza del modo in cui ci si esprime, o comunque di quante volte diciamo inavvertitamente cose in grado di far male agli altri, di discriminare.


É stato proprio dopo una di queste conversazioni che mi è tornata in mente una cosa simpatica, ma eloquente, accaduta alcuni anni fa. Appartiene a una fase diversa della mia vita, così lontana che adesso a raccontarla mi sembra di parlare di qualcosa che mi è stato a mia volta raccontato, una di quelle storie che nello stereotipo iniziano con “mio cugino...” e che a metà non ricordi più come va avanti ed inizi a dire cazzate e tutti perdono interesse tranne uno che alla fine però rivela di non aver capito niente.
Comunque, questa storia parla di una specie di coming out e di come qualcosa di scherzoso, anche simpatico, possa rendere tutto più complicato.
Cercando di riassumere un po' il contesto, era un periodo piuttosto incasinato della mia vita (ebbene sì, ero ancora più adolescente), in cui mi interrogavo sulla mia sessualità e non riuscivo decisamente a venirne a capo. Così, racimolato tutto il mio coraggio, avevo deciso che avrei parlato con il cuore in mano, come ogni adolescente che si rispetti, ad una persona che all'epoca pensavo avrebbe in qualche modo potuto aiutarmi. Ricordo di aver scavato solchi profondi, camminando istericamente avanti e indietro sotto a quell'albero, dove ci eravamo dati appuntamento. Ricordo anche che mi ero preparato discorsi intricati e intrisi di autentico pathos e lunghe e ridicole perifrasi costruite per non dover utilizzare “la parola che inizia con la g”, pur essendo abbastanza consapevole che non avrei saputo recitarli a dovere, al momento opportuno. Chi ci è passato conosce benissimo queste sensazioni.

Il mio amico era arrivato poco dopo, con una bicicletta da donna (il motivo, sinceramente, non lo ricordo, e la cosa non mi aveva particolarmente colpito). Era (e credo che lo sia ancora) una persona piuttosto dedita allo humor (anche quello facile facile, come vedrete), ed, avvicinandosi, ignaro della piccola rivoluzione armata che stava avendo luogo nel mio stomaco, aveva esclamato, facendo cenno alla bicicletta: “Non è come pensi, non sono mica diventato frocio!”.
Tutti gli omini che stavano facendo la lotta nelle mie viscere, improvvisamente, avevano smesso di fare qualsiasi cosa. A posteriori, credo che fondamentalmente avrebbero voluto ridere di gusto, ma che al contempo trovassero la mia situazione così ironicamente disperata da non trovare il coraggio di farlo.
Quella che avrebbe dovuto essere una chiacchierata di mezz'ora si complicò decisamente, a causa di quella valanga di mattoni precipitati sulla mia già precaria condizione psicologica, e solo in un paio di ore riuscii a parlare chiaramente di quello di cui mi premeva discutere.
Non riesco a ricordare se parlare poi mi fosse effettivamente servito, la storia che mi hanno raccontato ha un finale molto confuso e probabilmente vi annoiereste prima della fine. O non capireste.

Il mio aneddoto è sul cretino andante, ne sono consapevole, ma potrebbe perlomeno essere un simpatico esempio, un promemoria per aiutarmi a ricordare che quello che dico, anche (e soprattutto) senza dare troppo peso alle parole, può essere fonte di forti difficoltà, fino anche a vere e propri disagi, per le persone con cui comunico, consapevolmente o meno.

Ora, per concludere provate a immaginare quanto ho faticato per non inserire la solita citazione di Nanni Moretti.

[Giulia ha un blog, Lulliberlin, che, a mio avviso, merita di essere letto.]

listening: Ghost ship in a storm - Jim O'Rourke

domenica 22 aprile 2012

Questa città inutilmente bella, questa città zitella

In cui mi compiaccio di qualcosa di cui non dovrei assolutamente compiacermi

E così siamo andati a bere qualcosa nel solito posto, più o meno con la solita gente. Le luci gialline di Veronetta erano sempre le solite luci gialline, l’odore di pioggia era lo stesso odore di pioggia che per diversi inverni ha riempito le mie serate con Anita.
La serata è trascorsa piacevolmente, non c’erano grandi aspettative e, pertanto, non sono state tradite. Due chiacchiere, due Ichnusa, due orette tranquille.
Poi, mezz’ora prima dell’orario di chiusura, era arrivato quel ragazzo che, un po’ spavaldo e un po’ timido, ci aveva chiesto se poteva sedere con noi, per un po’. Era vagamente ubriaco, ma il suo tentativo di sembrare sobrio ci aveva inteneriti e, comunque, non siamo certo dei cafoni. Lo avevamo invitato a sedersi al nostro tavolo.
Dopo qualche istante di imbarazzo, la conversazione era prontamente iniziata e si era parlato di Berlino, della Finlandia, di Bristol e di Cardiff, di Banksy e di Blu, di Erasmus e di progetti  più o meno vaghi per un futuro altrettanto vago.
Poi era giunto il momento di andar via. Dopo un mio improrogabile salto in bagno, lieti ci eravamo salutati, prima di tornare a casa

 
Stavamo camminando nell’aria umidiccia della sera, quando Silvia mi mise al corrente del fatto che, mentre io ero al bagno, il ragazzo l’aveva ringraziata dicendole che eravamo stati gentili con lui, e che in altre situazioni analoghe era stato allontanato in malo modo. In un primo momento mi aveva fatto piacere venir ringraziato, mi aveva fatto sentire una buona persona.
Un istante dopo, mi ero incupito. Ringraziare delle persone per averti permesso di parlare con loro? Ma dove viviamo?
A volte non riesco a non generalizzare, a non pensare che c’è qualcosa di profondamente sbagliato in questo posto.

                                                                                                                
listening: Respinti all’uscio – Offlaga Disco Pax