sabato 18 febbraio 2012

“Uh Ah Brrr”

In cui vado a un bel concerto e non succede niente tutta la sera, ma serve un post lunghissimo per spiegarlo.

Esco dalla doccia. Quando il messaggio arriva sono ancora lì, a panza all'aria.
“Fuori, tra circa un minuto”, dice. Consapevole della drammaticità di una scena che si reitera da un tempo che sembra una vita (ah, no, è proprio una vita) indosso tutti gli indumenti che trovo, più o meno nell'ordine in cui mi ci imbatto, curandomi solo di abbinare le scarpe e la cintura. Che non si sa mai.
Mi fiondo fuori di casa con il cappotto ancora in mano. Salgo in macchina.

Interzona è sicuramente uno dei posti a cui tengo di più. Probabilmente voi, amici costretti a leggere queste righe, la conoscete tutti, ma lasciate che nella mia fantasia ci sia qualcuno che sbircia questo blog senza conoscere Interzona! Grazie.
Interzona è un'associazione culturale che vanta un ventennio di attività, tra diverse sedi. Io, data la mia tenera età, ho avuto modo di conoscerla solo nella sua forma attuale, dopo la “rinascita” del 2006. Ho iniziato a frequentarla intorno ai diciassette anni, e da allora è stata un appuntamento settimanale più o meno fisso. I mitici concerti “semiprivati” infrasettimanali, quelli un po' più popolati del venerdì e del sabato, le feste tutte uguali che ho smesso di frequentare assiduamente solo nell'ultimo anno, poco dopo la partenza di Verdeanita e dei suoi bellissimi dj-set.
Negli ultimi anni, come affezionato , ho visto Interzona crescere sempre più e fornire programmi sempre più appaganti (anche se non sempre degnati dell'attenzione che avrebbero meritato).
Per dirla tutta, io, a Interzona,voglio molto bene.

Fatto sta che arriviamo a Interzona abbastanza tardi. É pieno di gente. Ci sono le solite facce, quelle persone che vedo in ogni posto in cui vado a Verona, ma ci sono anche tante persone che credo di non aver mai incontrato. La cosa mi rende subito felice per l'associazione, ma, nel profondo e in modo innocentemente egoista, mi sento anche un po' triste.
Adoro quando Interzona è praticamente vuota. Ricordo molto piacevolmente concerti di alta qualità davanti a platee con spettatori che si potevano agevolmente contare sulle dita delle mani. Come il concerto dei Dianogah, in un martedì sera di qualche anno fa, in cui il trio sul palco riusciva quasi a pareggiare il suo pubblico (ma non si poteva certo dire che “non c'era un cane”, perché un cane, effettivamente, c'era, ed era anche enorme), o il bellissimo concerto di Shannon Wright, in cui abbiamo avuto occasione di fare conoscenza con una coppia di giovini milanesi emozionatissimi per l'evento. Alla fine eravamo noi, loro due, Shannon e poche altre persone.
A volte penso che l'atmosfera che viene a crearsi in queste situazioni giovi al concerto, a volte penso che siano solo pensieri cretini che faccio mentre aspetto un bicchierino di Montenegro al bancone del bar.

Al concerto dei Calibro 35, questa sera, c'è pieno di gente. Gente improbabile. Parrucche colorate, mantelli, manette, pistole. Poi mi viene ricordato che è Carnevale, e tutto acquista un senso.
Il concerto inizia e mi ricordo di non aver mai ascoltato seriamente i Calibro 35. Capisco subito di non avere i riferimenti culturali per apprezzare fino in fondo quello che sto sentendo, ma in qualche modo resto coinvolto. Il bello della cultura pop è che ti si arrampica su per le gambe e ti entra in testa senza che tu abbia fatto niente per aiutarla a farlo. Come il Virus della Rabbia, per capirci.
In pochi minuti mi ambiento e mi abbandono alle produzioni del mio cervello, rigorosamente di serie B. Mi rappresento delle scene, riassortendo in modo del tutto poco filologico quelle poche briciole di poliziesco all'italiana che mi aleggiano in testa, tappando gli enormi buchi narrativi con un po' di monologhi noir, delle gocce di alcol in pieno stile hard-boiled, qualche vignetta rigorosamente in bianco e nero di un qualche fumetto particolarmente violento che probabilmente nemmeno ricordo di aver letto, che probabilmente non ho mai letto.
Mi rendo velocemente conto di trovarmi più a mio agio quando i toni si fanno più fumosi, più investigativi, ed il nostro eroe, losco e poco raccomandabile almeno quanto i figuri che lo stanno pedinando, si aggira per vicoli illuminati male, dove vengono proiettate lunghe ombre, che noi vediamo attraverso piani lunghi, inquadrature oblique, troppo basse o troppo alte. Quando il montaggio si fa più veloce e i proiettili iniziano a fischiare, lo ammetto, mi riaccorgo di essere ad un concerto, e inizio semplicemente ad ascoltare la musica (che rimane pur sempre gran bella musica).
Sono ancora pienamente assorto quando, verso la fine dell'esibizione, i suoni si fanno dimessi. E allora, la vera sorpresa: tutti attorno a me stanno parlando.
In effetti, non è così sorprendente. Ho sentito alcuni concerti all'estero, negli anni, e sono giunto alla personalissima conclusione che quella di discutere dei ritardi dei treni o di quanto sia stato stronzo caio nel bel mezzo di un concerto sia una tradizione tipicamente italiana.
E quindi, pur felice del successo di Interzona, rimpiango un po' Shannon Wright.

Siamo in macchina quando infiliamo nel lettore l'album appena acquistato. Verona sembra più buia e insofferente del solito. Sarà che siamo tutti stanchi e non abbiamo molta voglia di parlare.
Scendiamo in una galleria semivuota e mi volto speranzoso.
No, nessuna automobile della polizia ci sta inseguendo, nessuna macchina piena di malavitosi ci sta alle costole con le pistole spianate.


Listening: Uh Ah Brrr – Calibro 35

venerdì 17 febbraio 2012

"It was all out of tune, you're entering this town"

E così eccomi nuovamente qui, a scrivere su un blog.
Sono passati ormai quattro anni dal mio ultimo post, sul mio vecchio blog. Un blog che in qualche modo rinnego, in quanto appartenente a un me passato, che, onestamente, fatico a riconoscere.
In queste sere di pensieri, più o meno positivi, più o meno futili, mi sono imbattuto nuovamente nell’idea che da diverso tempo circola nella mia calva testa. È iniziato come una piccola, evanescente sfumatura brunastra tra innumerevoli altri pensieri più ingombranti (tipo “le implicazioni morali del non abbinare la cintura con le scarpe”: magari ne parliamo in un post!), poi si è fatto sempre più e più corposo, materiale. Nella fattispecie ha preso le sembianze burrose e cotonate di Phlo, la beniamina dell’internet e delle parrucche viola, la quale, con le sue suadenti parole, non ha fatto che far traboccare la mia povera testa già colma di autosuggestione e caffeina.
E alla fine ho pensato “Perché no?” ed ho aperto questo blog.
Dicendomi che, alla peggio, sarà solo un’altra voce nella lunga lista delle cose che ho iniziato senza averle mai portate a termine.

E da questo passiamo diretti agli argomenti che verranno trattati nel mio nuovo, entusiasmante blog!
La verità è che non ne ho la minima idea.
Sono sempre stato una di quelle persone che si interessano a molte cose, che sanno “di tutto un po’”, che divagano (o naufragano?) tra i diversi argomenti senza la costanza di arrivare mai a fondo in qualcosa, che si distraggono per una qualsiasi altra cosa che possa attirare per un altro po’ l’attenzione, che...
A volte dimentico pure di allacciarmi le scarpe. O di cambiare i calzini, perdiana!
Riuscirà questo nuovo, entusiasmante blog a permettermi di concentrarmi meglio sulle cose che faccio?

Spero che non vi annoierà troppo.
Ammesso che riesca ad arrivare almeno al secondo post.


Listening: Out of tune - Real Estate