domenica 27 maggio 2012

You say the things you love are the things you never had, and when you hold them they pass through your hands like sand


In cui parlo di infanzia e amicizia, di mostri e affittuarie un po’ zoccole. Ma non di Paul Giamatti.

“La cosa curiosa è che i gabbiani mangiano i piccioni”
“Beh, dai, alla fine i piccioni sono le mucche dei gabbiani, no?”


Sono ancora giorni strani questi in cui mescolo le mie ansie accademiche con le mie immancabili ansie esistenziali, in cui ascolto gli Allo Darlin’ come se non ci fosse un domani e immagino che i corridoi degli istituti biologici e della facoltà di scienze siano prati fioriti e non distese di persone. Sempre le solite persone.
Poi, la notte, guardo film o leggo romanzi. E visto che durante il giorno le mie relazioni sono quasi esclusivamente deputate allo studio o comunque a questioni universitarie (come riesce la sessione d’esami a renderci così inumani?), ho delegato al cinema o alla letteratura quello che momentaneamente la mia routine non può darmi: il mio arricchimento emotivo, la mia dose quotidiana di conversazioni profonde, di gangster italoamericani, di affittuarie che si fanno pagare con favori sessuali, di zombie e di alticce e sdolcinate passeggiate a due nel cuore della notte.
Potrebbe anche essere l’occasione per parlare di Paul Giamatti. Magari in futuro.

Sono giorni davvero strani, questi in cui penso a come le cose siano cambiate negli anni, e come mi sembra che molti dei miei punti di riferimento siano progressivamente scivolati via, oltre un ipotetico orizzonte. È proprio vero che, prima o poi, si prendono delle strade divergenti? Il lieto fine esiste sul serio solo nel cinema, nei romanzi che leggo nottetempo? In questi giorni tremendamente strani me lo sono chiesto molte volte, camminando attorno al tavolo di quella vecchia cucina, camminando per le umide vie della periferia, camminando a notte fonda su strade che ho percorso innumerevoli volte nella mia infanzia. Adesso, tuttavia, quei ricordi mi sembrano tutti così distanti, rievocano periodi della mia vita ormai morti e sepolti, che, saltuariamente disseppelliti, sembrano camminare senza vita in una specie di vacua cerimonia, per poi tornare strisciando nel sottosuolo.
Forse è proprio così, certe cose sono troppo speciali per essere vere, stanno in piedi solo in quel mondo semplice e chiaro, vagamente infantile, popolato da affascinanti zombie e delinquenti mangia-cervelli. O qualcosa di simile.

Come è potuto succedere? Continuo a pensare a quando vivevamo praticamente in simbiosi, quando tutto il resto aveva un significato solo in funzione a noi, e parlavamo una specie di lingua tutta nostra, fatta di riferimenti del tutto esclusivi, inaccessibili al povero, ignaro ascoltatore alle nostre deliranti conversazioni. Poi, relativamente all’improvviso, tutto è cambiato. “La vita è così”, dicono, ma io non l’ho mai digerita, quest’espressione. Perché “la vita” deve sempre essere la versione un po’ più schifosa, la versione imperfetta delle cose belle? Passiamo tutta la nostra infanzia a prepararci un mondo illusorio e poi -sorpresa!- la vita vera è solo un susseguirsi mediocre di aspettative, di delusioni e poi di nuove aspettative?
E mi ritrovo a pensare che forse non potrò mai perdonarvelo, di aver tradito le mie, di aspettative. Così come non potrò mai perdonarmelo, di avervi permesso di farlo, di aver contribuito a trasformare tutto in questa versione odiosamente imperfetta delle cose belle.

Quando smetto di girare attorno al tavolo, mi siedo sul mio letto. Sul mio comodino ci sono delle foto che ho scattato con voi, pochi anni fa. In un primo momento non nego un po’ di rancore, un briciolo di risentimento di fronte alle vostre maledettissime, sorridenti facce. Cosa cazzo c’è da ridere? Non vi rendete conto, Noi di pochi anni fa, di come avete mandato tutto a farsi fottere?
Vi osservo per un po’. I pensieri si affollano, i ricordi che condivido con voi mi fanno sorridere (anzi, alcuni fanno decisamente ridere), e all’improvviso il mio rancore si affievolisce, e all’improvviso capisco che quella che sto provando non è affatto rabbia, ma nostalgia. Per la miseria, quanto mi mancate!

Ed è chiaro che probabilmente non verremo mai mangiati dagli zombie, probabilmente non saremo mai fatti a pezzi e chiusi nel baule di una macchina, né faremo mai a pezzi qualcuno e lo chiuderemo nel baule di una macchina (e non potete sapere quanto questo mi dispiaccia). Forse non faremo nemmeno mai un lungo viaggio assieme, in cui matureremo e impareremo cose molto importanti sulla vita in generale, sulle relazioni con le altre persone, cazzi e mazzi.
Sicuramente, tuttavia, siete la cosa più simile a quel mondo perfetto, semplice e vagamente infantile che continuo ad avere in testa.

Listening: Capricornia – Allo Darlin’



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